27 Apr Servizio Civile, un anno che cambia la vita.
Durante il nostro percorso di crescita tutti noi cerchiamo qualcosa che ci aiuti a dare un senso alle nostre scelte e che ci mostri qual è la via da percorrere. Ci sono piccole esperienze che illuminano questa strada e a volte il punto di partenza di un lungo viaggio è molto più vicino di quello che potrebbe sembrare, il mio è stato il Servizio Civile Nazionale.
Ho deciso di dedicare un anno di lavoro ai ragazzi dell’Istituto Salesiano Villa Sora, il mio intento era quello di avvicinarmi al mondo dei ragazzi per affiancarli nelle loro difficoltà personali e scolastiche. E’ stata un’esperienza che ha lasciato impronte profonde. Il lavoro in biblioteca, nei gruppi di formazione, in classe, mi ha portato a contatto con una serie di realtà e di persone che sono state di grande arricchimento: ho scoperto i miei limiti, le mie capacità, e sono riuscita a mettere tutto ciò che avevo a servizio del prossimo.
Sono cresciuta, ma soprattutto ho trovato dei compagni di cammino e questo mi ha spinto a vivere tutte le domande della mia vita in modo nuovo. Si dice che il pensiero nasca dal lavoro ed è vero, non c’è mai stata un’attività che non ci abbia portato all’analisi e alla riflessione, sia personale che di gruppo. Un’ esperienza a mio parere è veramente formativa quando riesce a fare a questo: a scardinare e riordinare ciò che è fermo, distruggendo certezze e ricostruendone altre, più ricche, insomma a mettere in moto la mente e le energie.
Ho iniziato a riflettere: cosa dà veramente senso alle mie azioni? Quanto contano le paure? Quali sono le cose essenziali?
Si sono aperte molte questioni. Ho scoperto soprattutto che l’importante nella vita non è essere legati a una situazione sicura e a dei legami sociali o affettivi rassicuranti, ma trovare un modo per esprimere ciò che veramente si è, ciò che veramente si possiede, lasciando indietro la paura, che spesso è l’unico limite della nostra vita. In questo modo si riesce ad amare le persone, ma anche il lavoro.
L’anno di servizio non è finito nel vuoto, ho trovato subito l’occasione per mettere in pratica quanto avevo vissuto e appreso. L’ho trovata proprio in un messaggio di una mia ex collega ed è grazie al Servizio che sono stata capace di cogliere il valore della strada che mi si apriva davanti, strana, nuova e apparentemente difficile, come tutte le cose veramente interessanti. Così mi sono ritrovata in Africa, ad insegnare italiano a dei ragazzi fantastici.
Per quanto riguarda l’esperienza al Don Bosco del Cairo vorrei parlarvi soprattutto dei miei studenti e della loro forza, io li considero veramente speciali, ognuno a suo modo. Si trovano spesso a far fronte a problemi e difficoltà notevoli. In Egitto ci sono diversi problemi culturali, religiosi e politici che complicano la vita della gente comune, basta pensare che la durata della vita è in media quindici anni inferiore alla nostra, di conseguenza tutte le tappe che noi possiamo affrontare con calma, arrivano prima e bisogna crescere in fretta. Può capitare che un ragazzino di 15 anni sia un capofamiglia e abbia la responsabilità di sostenere economicamente la madre e le sorelle, che faccia fronte tutti i giorni alla violenza fisica di genitori severi o che debba spostarsi per ore su mezzi pubblici tutt’altro che sicuri.
Le difficoltà sono tante e la crisi economica non aiuta, ma questi ragazzi sono stupefacenti. Se immaginiamo studenti tristi e disperati per la fatica ci sbagliamo, loro provano dolore e si stancano come non mai, ma non perdono il sorriso e non perdono la speranza. Rimangono in classe dalle sette di mattina alle tre del pomeriggio, spesso la campanella non basta ad interrompere il loro lavoro, si radunano all’uscita e mi fermano per chiedere chiarimenti, curiosità, esercizi extra addirittura! Hanno un’idea quasi sacra della responsabilità e sanno che la scuola è un’occasione, non un obbligo.
In più giudicano tutto con uno sguardo diverso, ho visto ragazzi commuoversi leggendo Alla luna e ammutolire quasi con spavento davanti al Pessimismo Cosmico. Da noi succede sempre meno perché sappiamo già chi è Leopardi, siamo abituali all’idea e ne sottovalutiamo il significato. Loro invece non apprendono mai in modo passivo e non sottovalutano nulla, sono sempre capaci di dire: “Non sono d’accordo“, “ Perchè dice questo?”, “Non è vero prof, l’autore si sbaglia, la vita è diversa!”.
Nel Museo Egizio c’è una piccola statua, rappresenta uno scriba, un notaio che lavorava al servizio del Faraone e tramandava insieme ai documenti, idee, conoscenza e cultura. Questo personaggio è ritratto in una posa particolare, a differenza delle altre sculture, nobili e severe, lui sembra quasi preoccupato, ha i lineamenti in tensione e gli occhi sgranati. Il suo atteggiamento tradisce una fortissima attenzione, è profondamente teso a memorizzare e a capire ciò che succede intorno a lui per coglierne il senso e riportarlo nei suoi scritti. Questi ragazzi mi ricordano il suo viso: lo sforzo di capire è grande, la concentrazione è intensa, tutto deve imprimersi nella memoria velocemente e bisogna usare ogni forma di intelligenza per cavarsela in mezzo alle difficoltà. Bisogna essere completamente tesi verso il mondo, verso la vita.
Il loro modo di apprendere è bellissimo e anche noi possiamo imparare da loro a prendere sul serio ciò che facciamo, a dare valore alle cose che lo meritano e a giocare con una lingua nuova e una cultura sconosciuta. Quelli che riusciranno a passare la maturità accederanno all’università in Italia, forse saranno compagni dei ragazzi che assistevo in biblioteca e magari in futuro colleghi o vicini di casa, io spero che possano veramente incontrarsi, conoscersi e donare qualcosa gli uni agli altri.
Guardando indietro posso sicuramente essere felice della scelta che ho fatto, credo fermamente che il modo migliore per crescere sia mettere da parte la logica dell’affermazione personale e della competizione per fare qualcosa che amiamo e che ci spinge ad amare. Ciò che di bello ho nella mia vita oggi lo devo a questo.